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Recensione

Nessun processo alle (buone) intenzioni: nel raccontare la storia di Mathieu (Jules Benchetrit, faccia da “sovversivo” dal cuore d’oro), istintivo pianista di periferia notato durante un’esecuzione in una stazione dal direttore del Conservatorio di Parigi (Lambert Wilson), il quale rischia e scommette su di lui raccomandandolo, dopo un arresto per furto, come lavoratore socialmente utile all’interno dell’istituto (in crisi) di cui è responsabile, il da noi ancora sconosciuto regista Ludovic Bernard (appartenente alla scuderia di Besson e con esperienze – e futuro – all’estero) piuttosto apertamente si ispira, oltre che a un giovane suonatore da lui adocchiato nelle medesime circostanze, a Billy Elliot e soprattutto Will Hunting – Genio ribelle.

Consequenziali le somiglianze con trame consimili di fine anni Novanta (Scoprendo Forrester, Antwone Fisher…), ma non sarebbe sbagliato trovare nel vibrante e semidimenticato dramma tedesco Quattro minuti (2006) il punto di riferimento più forte.

Un film derivativo, insomma, rivendicante una propria via nell’ultima parte, che però è anche la più lacunosa (vedi – restando sul vago – il forzato inserto ospedaliero e l’improvvisa “riabilitazione” delle cattive compagnie).

Spicca l’inflessibile insegnante di Kristin Scott Thomas, mentre la luminosa Karidja Touré di Diamante nero motiva il protagonista.

Il titolo italiano crea un’omonimia con un’opera di Del Monte del 2007.

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Max Marmotta