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Trama

Palermo, 1984. Dietro la copertura di un rispettabilissimo negozio di scarpe in zona Ballarò si nasconde un fiorente traffico di droga.

Il lucroso affare è gestito dal proprietario Saro con il prezioso aiuto dell’insospettabile moglie Angela, amante del lusso, e con la collaborazione del contabile Mimmo.

Malgrado i pedinamenti e le intercettazioni, la polizia non riesce ad intervenire. Un giorno entra a far parte dell’organizzazione il giovane “testa calda” Masino, che nel giro di poco diventa il luogotenente di Saro.

Angela, dopo un’iniziale diffidenza, s’innamora di lui.

Recensione

Dopo due coloratissimi musical, la palermitana d’adozione (in realtà è di Milano) Roberta Torre, senza aspirare al capolavoro, morde il freno e si affida ad un fatto di cronaca.

La messinscena stavolta è sobria, essenziale (l’unica gradita “licenza” riguarda le scene in auto), sganciata dai cliché sulla malavita siciliana e, piuttosto, incline all’approfondimento dei rapporti fra i caratteri.

La regista ha così modo di dimostrare un saldo controllo degli attori, peraltro di indubbie capacità: dalla protagonista Finocchiaro, bellezza atipica la cui ostentata sicurezza rivela una fragilità anelante quasi inconsciamente ad una vita diversa, al metodico Pupella (Saro), inquietante nella sua ordinaria amministrazione del lavoro sommerso: grazie a loro le due scene al parlatorio risultano particolarmente toccanti, e c’è da sperare in loro future interpretazioni.

Né va dimenticato, anche per il physique du rôle, l’“indigeno” Di Stefano (Il principe di Homburg, Almost Blue), che con il distributore Occhipinti e il musicista Guerra (semplice ed efficace) completa un ideale trittico di abili Andrea; le poche battute ironiche sono pronunciate invece da Lobello (Mimmo), con un occhio al “Burruano-style”.

Presentato con successo alla Quinzaine des réalisateurs a Cannes, il film, prodotto da Lierka e Rita Rusic che lo hanno già venduto in tutto il mondo (il che lascia ben sperare per la loro società), doveva chiamarsi in un primo tempo Angelò, dal soprannome del personaggio.

Il titolo definitivo, comunque, come spiega la stessa autrice (che trascura un po’ la figura della figlia), andrebbe scritto con la minuscola, come se fosse il femminile della parola “angelo”.

Max Marmotta