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Recensione

Il fascismo, irriso, che condiziona la quotidianità; la guerra che allontana i giovani e distrugge le case; il PCI, presto insidiato dai socialisti, portatore di novità e speranze; agricoltura e pastorizia ingoiate dalla moderna edilizia; giochi, arte, mode… Questo e molto, moltissimo altro passa davanti all’ingorda cinepresa di Tornatore, che allinea e rielabora ricordi propri e dei suoi compaesani bagheresi, crea figure, quando non vere, veridiche e, mentre le scorge impegnate a vivere, amare, soffrire e morire, fa passare loro accanto la storia della Sicilia e dell’Italia, per poi permettersi una lirica e rischiosa chiosa atemporale.

Una piccola epopea (degna di Visconti o Giordana) racchiusa in una produzione dai grandi numeri, dai tempi di realizzazione dilatati, della durata di “appena” 150 minuti (ma dagli spazi sacrificati di alcuni personaggi si intuisce facilmente e quasi a malincuore che il montaggio definitivo avrebbe potuto essere più lungo), in cui il prevedibile omaggio al cinema trova uno spazio relativo (ma significativo) e dove l’afflato d’insieme smorza difetti o soluzioni non abbastanza circostanziate.

Insomma, la vicenda di base di Peppino e Mannina (più che idonei i freschi Francesco Scianna e Margareth Madè), sposi contro ogni probabilità e famiglia felice a dispetto delle avversità, appassiona e comunica, così come gli avvenimenti di complemento.

È la messa in scena sincera di un talento, che pure ha dimostrato di sapersi spendere meglio ma al quale non per niente ha risposto compatto lo star-system nostrano (senza contare gli attori che hanno chiesto di partecipare anche per poche inquadrature).

Fra loro, Aldo, B. Fiorello, Salemme, Chiatti, Bova, Burruano, Lo Cascio, D. Finocchiaro, Faletti, M. Placido, Bellucci, Mazzarella, Briguglia, Fortuna, Gullotta, Scaldati, Cuticchio, L. Franco.

Max Marmotta