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Recensione

Ardita operazione, questa di Muccino. Dopo i successi hollywoodiani de La ricerca della felicità e di Sette anime, entrambi con Will Smith (qui affettuosamente citato con qualche immagine di Io sono leggenda, girato nell’intervallo tra i due film succitati), il regista romano rientra (non definitivamente, già si sa) in Italia e riprende le fila di un discorso di per sé già compiuto nove anni fa con L’ultimo bacio, il suo titolo a oggi più amato, e va fino in fondo nonostante la pesante defezione della sua protagonista femminile di allora, Giovanna Mezzogiorno, sostituita con convinzione da Vittoria Puccini.

Il risultato finale è più che decoroso, sia perché forte di una scrittura che tiene in grande considerazione l’evoluzione dei caratteri, passati dalle crisi da imminente stabilizzazione tipiche dei trentenni a quelle da imborghesimento proprie dei quarantenni, nonché l’aderenza degli attori, validissimi, che continuano a interpretarli (ma ci sono anche le new entries di Giannini, Bruni Tedeschi, Reggiani), sia perché sembrano non esserci più ruoli secondari: la storia è equamente spartita fra i vari personaggi e i loro problemi.

Se i numerosi e rancorosi tradimenti consumati tra Carlo e Giulia non sono stati sufficienti a spegnere la passione che ancora nutrono l’uno per l’altra (complice l’amore per la loro bambina, Sveva), Adriano, dopo aver scontato due anni di galera in Colombia, deve ricominciare daccapo, magari da suo figlio Matteo, che non vede da quando era in fasce e non desidera incontrarlo; la madre di quest’ultimo, la nervosa Livia, si è nel frattempo innamorata dell’infelice Paolo, mentre la coppia apparentemente tranquilla formata da Marco e Veronica dà segni di cedimento e Alberto continua a sognare la fuga.

Insomma, si dimentica la forzatura che stava dietro all’operazione. Meglio così.

Max Marmotta