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Recensione

Il ricchissimo e feroce boss colombiano della droga Pablo Escobar (1949-1993) per ora rivive spesso tra cinema (gli han dato volto Benicio Del Toro in un infedele biopic e, a latere, Mauricio Mejía in Barry Seal) e tv (la nota serie Narcos con Wagner Moura), simbolo di spietata avidità mascherata da generosi reinvestimenti per combattere la povertà del Paese (entrò addirittura in politica!).

Un leader maligno disprezzato per l’efferatezza eppure adorato dalle fasce più deboli per l’apparente filantropia.

Sentimenti confluiti nell’autobiografia alla fonte del film, Amando Pablo, odiando Escobar di Virginia Vallejo, la giornalista che se ne infatuò (interpretano i due i coniugi Bardem e Cruz, che lascia un segno più profondo), diventando una delle sue tante avventure (il manigoldo frequentava anche la prostituzione minorile), a dispetto dell’esausta moglie del trafficante (Restrepo, bella scoperta).

Ma Vallejo fu pure colei che contribuì all’incriminazione dell’uomo, nel frattempo disposto a finire dentro alle proprie condizioni, ovvero in un carcere di lusso costruito appositamente.

Poiché le sostanze illegali finivano negli USA, che volevano estradare il condannato, si mise di mezzo la DEA.

Aranoa, che sa fare di meglio (I lunedì al sole, Princesas), memore dell’esperienza anglofona di Perfect Day, evita i tempi morti, si concentra su violenza e repellenza del personaggio e porta a casa un risultato (non troppo incisivo).

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Max Marmotta