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Recensione

Abituato alle produzioni internazionali, il taiwanese Ang Lee ha talento visivo da vendere. I suoi film godono di grande risonanza oppure passano ingiustamente inosservati, come testimoniano rispettivamente i recenti Vita di Pi e Billy Lynn – Un giorno da eroe, però contengono comunque tematiche interessanti, da approfondire. Stavolta, pressoché inspiegabilmente, si è fatto coinvolgere in un popcorn movie sostanzialmente avaro di novità e di trovate (mica Hulk!), girato quasi con il pilota automatico, tuffato in un’enfasi alquanto preconfezionata. Un incidente di percorso, che di certo non mancherà di accattivare – senza entusiasmarli – i cultori del cinema spensierato ma non lascerà tracce tangibili. 

Henry Brogan, cecchino di chirurgica precisione e agente speciale (replica più realistica del Deadshot già interpretato da Will Smith in Suicide Squad), decide di ritirarsi dopo l’ennesimo incarico sporco, con dispiacere dei superiori. Il suo relax da pensionato è guastato dalla scoperta che l’ultimo obiettivo non era la carogna che credeva (gettando una supplementare ombra sul suo lungo operato), il che lo fa passare da sorvegliato speciale (della sconosciuta collega Zakarweski, ossia la bella e depotenziata Mary Elizabeth Winstead, la più “compromessa” del cast) a impreparato bersaglio. Il coriaceo killer chiamato a eliminarlo è un giovanotto con le sue fattezze, trattandosi del frutto di un (riuscito) esperimento di clonazione portato avanti in segreto da molti anni per realizzare – tanto per cambiare – il soldato perfetto, efficiente e privo di sentimenti. Sarà proprio così? 

Al di là dell’eccezionale – per ritmo incalzante e perizia tecnica – sequenza in cui il protagonista si scontra con il suo alter ego ventenne, tra inseguimenti in motocicletta e serrati corpo a corpo, non rimane granché da salvare. Verris, nemico da battere con alti ideali, è un intristito Clive Owen, la simpatia del Barone, il pilota che aiuta Brogan nella sua fuga/caccia interpretato da Benedict Wong (Doctor Strange), si rivela una toppa troppo piccola e la fiacca sorpresa nel prefinale è solo presunta (benché preceda una semi-convinta morale anti-bellica). Smith, che pure frequenta da sempre il filone puramente commerciale (Independence Day, tre Men in Black e altrettanti Bad Boys, il prossimo in arrivo tra qualche mese) sembra meno ispirato che altrove. L’impiego del de-aging digitale sulla sua figura – procedimento attraverso il quale sono già passati o (ri)passeranno vari attori, da Bridges a Schwarzenegger, da Douglas a Downey a Jackson, da Russell a Kidman a De Niro – raggiunge livelli qualitativi impressionanti; e con ciò? 

Max Marmotta