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Recensione

Come alla fine della remota stagione 1988-89, quando nelle sale italiane si affrontarono a breve distanza il primo adattamento di Cimitero vivente e Bambola assassina (destinati entrambi a generare seguiti), ecco che oggi arrivano, ravvicinati anch’essi, i loro remake. Per la verità, questo di Lars Klevberg (del quale abbiamo appena visto il già “nostalgico” Polaroid, comunque girato nel 2017), che precede d’un soffio altri due sequels “a tema” (Annabelle 3 e The Boy 2) e si avvale d’una sinistra campagna “anti-Toy Story”, ha più l’aria del reboot, dato che Chucky, il pericoloso pupazzo al centro della vicenda, rispetto al lungometraggio di Tom Holland (nome che adesso richiama il più recente interprete di Spider-Man e un tempo era “solo” un quotato regista di horror; qualcosa di simile è accaduto con Steve McQueen…) non è più mosso da un delinquente reincarnatosi nel giocattolo grazie a un rito voodoo, bensì è un evoluto mini-robot (manomesso per ritorsione) che, oltre a intrattenere i bimbi, può, con l’app giusta, amministrare la domotica, per la comodità degli adulti, e violare quindi vari sistemi informatici, mutato presupposto che (ri)porta il plot verso abusate riflessioni sull’intelligenza artificiale. Tanto che Don Mancini, artefice delle numerose e cruente avventure del nefando personaggio (si contano altre sei “puntate”), e Brad Dourif, sua voce originale, qui non figurano (il secondo è stato spiritosamente sostituito, pensate un po’, da Mark Hamill, reso da noi da Loris Loddi). 

Klevberg, accennavamo, evidentemente ama il genere slasher consolidatosi negli anni ’80 (e gli scorci di Non aprite quella porta – Parte 2 di Hooper sono lì a certificarlo, ma in fondo pure il cameo di Tim Matheson – nel ruolo “mediatico” del ricco imprenditore Kaslan – rappresenta una testimonianza d’epoca) e asseconda la sceneggiatura di Tyler Burton Smith nella sua impennata violenta prevista per l’ultima porzione di film (gli eventi precedenti, in base ai vecchi canoni, sono propedeutici e occasionalmente pretestuosi). Così, quando – dopo il drammatico prologo – il disadattato Andy (Gabriel Bateman) riceve in “regalo” (l’iter non è esattamente ortodosso) il bambolotto meccanico dalla scapestrata madre (Aubrey Plaza), impiegata di un mall appena trasferitasi a Chicago, bisogna attendere abbastanza perché si entri nel vivo della trama. Chucky (appartenente alla linea in minacciosa fase di sviluppo Buddi), di suo, risulta meno inquietante, e meno graffiante. Indicato, a ogni modo, per appassionati non troppo scafati. 

Max Marmotta