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Recensione

Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (di Mel Stuart, 1971), protagonista un colorato Gene Wilder, è stata la prima, abbastanza conosciuta (grazie ai molti passaggi televisivi) trasposizione del romanzo per bambini dell’esperto Roald Dahl, che porta lo stesso titolo (italiano) di questa versione aggiornata di Tim Burton.

Va da sé che, al di là di qualche piccolo e accettabile aggiustamento narrativo, l’asso nella manica del regista di Edward mani di forbice, Ed Wood e Il mistero di Sleepy Hollow (ognuno con il fedele Johnny Depp, qui riconfermato in tutta la sua verve) è costituito dalle splendide e fantasiose scenografie di Alex McDowell, che riproduce la segreta e inespugnabile fabbrica di dolciumi chiusa alle visite (ed anche ai comuni operai) dal suo misterioso proprietario Willy Wonka per timore dei reiterati spionaggi industriali di cui è stato vittima in passato e ora riaperta eccezionalmente a cinque pargoli, e relativi accompagnatori, per un non meglio precisato concorso.

Che il piccolo eroe Charlie (Freddie Highmore, già con Depp l’anno scorso, nel ruolo di Peter, in Neverland), povero in canna ma estremamente generoso, sia il migliore del gruppetto è chiaro da subito, ma è il percorso che è importante: se la prima parte del film non colpisce particolarmente, è la spassosa scena con gli scoiattoli a gettare luce sulla pellicola già scorsa e su quella da scorrere, consegnando l’intero film (nel complesso magari un po’ troppo sfarzoso in qualche tratto) alla categoria dei prodotti per l’infanzia che valgono parecchio (alquanto sparuta, nonostante la recente quantità di proposte).

Ma anche gli adulti hanno di che godersela: Burton cita a piene mani, dai musical acquatici del coreografo/regista Busby Berkeley con Esther Williams agli horror celebri (Psyco) o meno celebri (Sotto shock).

E osa perfino dare un’identità all’inquietante monolito nero di 2001: Odissea nello spazio… .

Max Marmotta