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Recensione

Si contende con il gigante tecnologico Up della Pixar il titolo di miglior film della settimana, ma va premiato per l’efficace schiettezza: Lo spazio bianco della più parsimoniosa (e avveduta) delle figlie di Luigi Comencini non è solo un corretto esempio di adattamento letterario (il libro-fonte di Valeria Parrella, che fa pure la comparsa, ha venduto tantissimo), è anche la dimostrazione che si può fare del cinema orgogliosamente al femminile captando indistintamente la sensibilità di tutti gli spettatori.

Riduttivo attribuire i meriti esclusivamente all’attento mélange tra dramma e commedia: se i presupposti sono seri (una puerpera attempata, insegnante serale che ama la vita giovanile ma soffre di egoismo, costretta ad attraversare tre mesi di ansia poiché la sua Irene, avuta da un rapporto fugace, è nata prematura e dovrà superare l’ardua prova dell’incubatrice), non significa che il quotidiano non offra comunque motivi per sorridere; dunque, aggirare le commozioni facili era quasi una scelta obbligata per un’autrice esperta come la nostra Francesca.

Piuttosto, sono l’individualità e l’individualismo di Maria (una stupenda Buy, lontana dalle nevrosi dei personaggi che è abituata a interpretare, sempre con invidiabile professionalità), il suo cinismo invisibile (magnifica ed eloquente la sequenza iniziale), il suo incosciente bisogno di accettare sé, gli altri intorno, la città in cui risiede (una bellissima Napoli a cui la fotografia di Luca Bigazzi restituisce dignità e influenza) a risaltare, a umanizzare la vicenda, a sussurrare complicità a chi guarda.

Lottare per esistere o sparire definitivamente? È una maturazione silenziosa e decisa, accostabile per temi a Uno su due con Fabio Volo, però con un’angolazione diversa.

Se possibile, più viscerale.

Max Marmotta