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Recensione

Fece un esordio con il botto nel 2002, Francesco Patierno: Pater familias è uno spaccato di vita del territorio campano programmaticamente sgradevolissimo.

Gli sono seguite delle commedie non proprio nelle corde dell’autore (Il mattino ha l’oro in bocca, Cose dell’altro mondo e l’ibrido La gente che sta bene), il quale adesso torna a occuparsi della sua terra e illustra, prendendo in prestito per il 99% della durata del suo documentario immagini d’epoca, di repertorio o tratte da pellicole ambientate in quell’infausto periodo, la Napoli del 1944, distrutta dai bombardamenti e sfiancata dalla fame, alla cui desolazione volle dare un contributo perfino il Vesuvio.

Lo spunto è fornito da un diario vergato per circa un anno da Norman Lewis, ufficiale inglese di stanza nella città partenopea.

Osservando gli abitanti, studiando la loro innata arte di arrangiarsi, il militare imparò ad apprezzarne le contraddittorie sfaccettature.

Tra impieghi di bestiame, momenti di preghiera e tanti espedienti escogitati per non soccombere alla decuplicata povertà, il regista “congela” una delicata fase storica.

Il film immagina che Lewis ritorni, e ricordi, con la voce fuori campo di Benedict Cumberbatch nell’edizione anglofona e quella di Adriano Giannini per la nostrana.

Sorprendente e azzeccata la scelta di brani di cinema: da La pelle a Le quattro giornate di Napoli, da Chi si ferma è perduto a Comma 22, da Paisà a Il re di Poggioreale.

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Max Marmotta