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Trama

Roma, dicembre 1987. L’imbroglione ingegner Detassis e l’integerrimo giudice Paci si scontrano nella clinica in cui stanno per vedere la luce i rispettivi figli, Nelson e Costantino, poi forse scambiati in culla all’insaputa dei genitori a causa di un black-out.

Sedici anni più tardi, i due, senza riconoscersi, si ritrovano in tribunale, l’uno indagato, l’altro in toga.

Il diabolico Detassis ha da poco intrappolato il magistrato, “sorprendendolo” in sauna con la procace aspirante star Giovanna, spacciata dall’imputato per sua moglie e in realtà compagna dell’avvocato Gennaro.

Dopo il rinvio del procedimento, le strade dei rivali si incrociano di nuovo durante una vacanza in India, dove Paci trascina lo strafottente Costantino e Detassis, al braccio della vera consorte Silvia, si ritrova per insistenza del coltissimo Nelson.

Nello stesso luogo convergono i trapezisti declassati Max e Bruno, allettati da un rubino rubato a un mahrajàh che Paci non sa di possedere, e il rapper coatto Vomito, in cerca, con l’inseparabile impresario Tony, di immagini trasgressive per il suo nuovo disco.

Recensione

Dopo Natale sul Nilo, c’era il rischio serio che le folle oceaniche di aficionados della coppia Boldi-De Sica (e della loro ormai stabile compagnia orchestrata da Neri Parenti) rinunciassero all’appuntamento annuale con il grande schermo, o quantomeno cambiassero rotta.

Per questo il produttore Aurelio De Laurentiis, pur con le tasche piene (in senso letterale), avrà forse preteso dalla sua incredibilmente immutata squadra di sceneggiatori quantomeno uno script di –se vogliamo– maggiore spessore, ché a concepire qualcosa di leggermente superiore non ci voleva molto.

Così, tra un rutto, due peti e una sodomia animale (per tacere degli onnipresenti sponsor), stavolta c’è maggiore attenzione alla struttura narrativa e a qualche gag, benché le freddure dei Fichi d’India siano infilate a forza nei dialoghi e i personaggi, figli dei protagonisti compresi, continuino a rispondere agli stereotipi più consunti.

Dunque, meno dannoso per il grosso pubblico (che continua a preferire l’eccesso ingiustificato all’unica battuta simpatica, collocata nell’epilogo del 2014); la tanto pubblicizzata diminuzione del numero di parolacce, comunque, non fa calare l’alto tasso di volgarità.

Un dubbio: sarà fortuita (e in caso contrario non assomiglia ad un omaggio) l’attribuzione del cognome Detassis (come la direttrice del mensile Ciak) al carattere di De Sica? Secondo tradizione, molti vip partecipano “as themselves”.

Max Marmotta