Trama

Ex-soldato, reso obeso da una cura a base di cortisone, Hussein trasporta pizze a domicilio e arrotonda con furtarelli messi a segno insieme al mingherlino e chiacchierone amico Ali, che lo tiene in grande considerazione.

Il corpulento fattorino è in procinto di sposarsi con la sorella del compare e vorrebbe regalarle un monile.

Il ritrovamento di una ricevuta di gioielleria lo fa tornare con i piedi per terra: non potrà mai permetterselo.

Ma Hussein, che nel frattempo fallisce una consegna per colpa di alcuni militari, non si arrende: respinto per il suo aspetto e il suo vestiario, si ripresenta dall’orafo con il suo vestito migliore… .

Recensione

Ci sono due sequenze lunghe (forse troppo, per chi non conosce la cadenza del cinema iraniano) e significative nell’ultima fatica di Jafar Panahi (Il cerchio), premiata dalla giuria della sezione “Un certain regard” al festival di Cannes 2003 e curiosamente calata in una realtà metropolitana, Teheran, abbastanza inedita per lo spettatore occidentale (avvezzo a panorami desertici) e perciò specialmente affascinante: la mancata consegna delle pizze a causa di alcuni soldati che sorvegliano gli invitati a una festa sospetta e bloccano il perennemente generoso protagonista (scena che, come spesso avviene, ha causato, dopo numerosi altri osteggiamenti, il divieto di uscita del film in patria da parte del governo) e l’imprevista sosta di Hussein nella favolosa casa di un giovane nababbo appena ritornato dagli Stati Uniti.

L’afflato di povertà e disperazione, perfettamente incarnato dal massiccio e silente attore principale Emadeddin (un non professionista al quale basta occupare lo schermo per trasmettere emozioni), pervade l’intera vicenda (tristemente tratta da un fatto di cronaca), narrata, in stile Lolita, a partire dalla luttuosa fine.

Un rimuginare corrosivo che è trasmesso attraverso la dolente ricostruzione dei fatti e che dà luogo alla rabbia, a uno “sfogo” non premeditato ma quasi imposto da una società crudele e isolante.

Max Marmotta