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Recensione

Funestato dalla prematura scomparsa di Heath Ledger (che attore sarebbe stato nel prossimo decennio!), il nuovo film dell’ambizioso Terry Gilliam, corrosivo ex-membro dei Monty Python e manovratore di tanti progetti tra il fantasy e l’avveniristico (pessimista), spesso interrotti o abortiti per il sopravvento di problemi tecnici o economici, è dovuto ricorrere a un intelligente escamotage: sostituire lo sfortunato quasi-protagonista con tre suoi amici di almeno pari fama (Depp, Law e Farrell) per le scene rimaste, con una consistente aggiunta di senso.

Il ripiego certo incuriosisce, ma bisogna sottolineare che l’opera, senza di esso, avrebbe comunque mantenuto la propria brillantezza.

Perché tra le righe di una trama imbastita attorno a uno scalcinato circo ambulante gestito dal decrepito Parnassus (un Plummer di rara finezza) e composto da sua figlia Valentina (Cole), dal nano Percy (Troyer) e dal giovane Anton (Garfield), impresa minacciata dalle misteriose scommesse del proprietario con il turpe e ghignante Mr. Nick (il cantante Waits, mai così bene utilizzato dal cinema), sbucano ragionamenti e teorie sui massimi sistemi (divinità e religione, irredimibilità e libertà di scelta), che non hanno alcuna pretesa di essere presi sul serio, incasellati come sono all’interno e a esclusivo vantaggio di tale informe macchina delle meraviglie che non mancherà di stupire chi si farà coinvolgere e di annoiare chi si fermerà alle bizzarrie della superficie.

Questa è per l’appunto la materia di cui sono composti i sogni, quelli comprensivi di lugubri elementi inconsci, ed è – prendere o lasciare – la presuntuosa caratteristica principale dei lavori più riusciti di Gilliam, uno che non si è stancato di impastare fiabe e arti figurative, preda di una cocente febbre creativa, incurabile anche se volesse.

Per nostra fortuna.

Max Marmotta