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Recensione

Dettagli che contano. Il bravo, forse un po’ intimorito Taron Egerton, protagonista di questo biopic sullo scatenato Elton John (naturalmente fra i produttori), aveva incrociato il divo musicale britannico (entrandoci in sintonia e probabilmente studiandolo) in uno dei pochi film da lui interpretati (nel ruolo di se stesso), il survoltato sequel Kingsman – Il cerchio d’oro; il regista Dexter Fletcher, che con l’attore aveva lavorato nel precedente Eddie The Eagle – Il coraggio della follia e che vanta pure una lunga esperienza davanti alla macchina da presa (La ragazza dei sogni, Lock & Stock – Pazzi scatenati), è colui che portò a termine il riuscito progetto Bohemian Rhapsody (se ne sentono ancora gli echi – commercialmente – positivi) dopo l’allontanamento (volontario?) di Bryan Singer. I punti in comune – per stile, ritmo, atmosfere (talvolta pacchiane, inevitabilmente e ricercatamente) – con il lungometraggio su Freddie Mercury sono innegabili; si notano soprattutto le scelte (ormai da manuale) di seguire situazioni familiari con relative carenze affettive (non per niente è una simbolica seduta di analisi a inaugurare e innervare il plot), esordi difficili, sodalizi artistici importanti, scoperta della propria identità sessuale, ascesa (con pseudonimo), dipendenze, tradimenti (manageriali) a doppio senso (i caratteri di Stephen Graham e di Richard Madden sono “tradizionali”), caduta, ripresa, per interrompere il racconto all’apogeo della carriera, quando cioè (alcun)i guai sono alle spalle e non ci sono ulteriori fasi drammatiche da affrontare, periodo suggellato dall’abbandono dei vistosi costumi di scena (Bowie docet) in favore della più sobria paglietta.            

Ma ci sono anche delle differenze (oltre all’ovvietà che si sta parlando di una star vivente), e sostanziali. Brani famosi come I Want Love, Saturday Night’s Alright for Fighting, Your Song, Crocodile Rock, Pinball Wizard, Rocket Man (all’origine del titolo), Don’t Let the Sun Go Down on Me, Goodbye Yellow Brick Road e, in particolare, I’m Still Standing, tranne per gli scorci di pubbliche esibizioni, veicolano maggiormente la narrazione, a prescindere da quando furono scritti, coinvolgendo occasionalmente altri performers, fra i quali val la pena ricordare almeno Bryce Dallas Howard e Gemma Jones (madre e nonna di Reginald Dwight – è il vero nome del cantante – da bambino) e Jamie Bell (nei panni dell’insostituibile paroliere Bernie Taupin, capace di animare le spontanee e talentuose melodie di Elton). Dunque va da sé che le esecuzioni siano a cura dello stesso Egerton, però più di lui è il colorato impianto a risultare vincente. 

Max Marmotta