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Recensione

Dopo una traslazione al cinema solo parzialmente riuscita (La profezia dell’armadillo, con Valerio Aprea a indossarne la corazza), il mondo ingrigito eppure pieno di voglia di comunicare del fumettista Zerocalcare (al secolo Michele Rech) diventa una serie da piccolo schermo, o meglio da piattaforma, in sei puntate di durata breve (tra i 15 e i 20 minuti) eppure fulminante. Il disegnatore (debitore di Silver e Jacovitti) e in questo caso showrunner, come aveva già sperimentato in qualche ospitata televisiva (però con una tecnica d’animazione chiaramente più rudimentale), trasferisce coerentemente il suo umorismo caustico (con linguaggio popolare che gli vale un V-14) in un cartone in cui il suo rassegnato e insicuro alter ego Zero è circondato, oltre che dagli amici Sarah e Secco (quasi a far da Super-io ed Es), da professori, parenti e buffi animali antropomorfi, tutti doppiati con sfumature diverse (e senza rinunciare al romanesco) dall’autore, a eccezione della coscienza del protagonista, un armadillo appunto (ben noto ai fans e con il timbro riconoscibile del sodale Valerio Mastandrea, già co-sceneggiatore del film del 2018), che con osservazioni saccenti e non necessariamente fuori luogo erode la già scarsa autostima del giovanotto.

Alle situazioni “bighellonanti” e autoconclusive talvolta irresistibili (vedi gli “interregni” casalinghi descritti nel quarto episodio), al metacinema (con Zero al centro di un set) e alle mille citazioni (da Star Wars a Trainspotting) e strizzate d’occhio sparse fra le scenografie (basterebbero i poster affissi in camera o davanti a una sala), si oppone una trama orizzontale legata al tenero legame che il personaggio principale ha con Alice, aspetto che verso la fine fa posto – con una naturalezza inattesa che ricorda da vicino le premesse di Moonlight Mile – a un irrobustimento dei temi (per la verità ventilato da canzoni diegetiche), alla volontà di trasformare le digressioni in riflessioni e certificare, come annunciano il titolo e la sequenza della sigla, che la vita non segue le linee tratteggiate “promesse”, e farsi cogliere impreparati può essere deleterio o addirittura fatale. Uscire dalla comfort zone significa aprirsi al mondo, sentire (finalmente) le voci degli altri. Un twist pieno di senso, che dona ulteriore spessore a un’opera generazionale solo in superficie (agli occhi di molti Zero è un giovane dalle prospettive limitate, ma per i ragazzi è già un “vecchio” con troppi riferimenti culturali), in realtà desiderosa di rivolgersi a tutti.

Max Marmotta