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Trama

1971, Fort Polk, Louisiana. Un gruppo di soldati viene addestrato per andare a combattere in Vietnam. Prima di arrivare al fronte, la sua destinazione è un famigerato campo denominato Tigerland, che riproduce in tutto e per tutto le insidie che attendono i militari.

Fra le giovani leve c’è Bozz, ribelle che sa il fatto suo e gode di una non indifferente popolarità: infatti, è in grado di far riformare coloro che non vogliono partire per la guerra.

Recensione

Dopo una lunga serie di lungometraggi commerciali di trascurabile qualità, Joel Schumacher torna ai livelli di Linea mortale e di Un giorno di ordinaria follia.

Questo suo piccolo lavoro, girato in 16 mm. in quattro settimane, non annovera attori di richiamo e punta dritto al succo: l’accusa alla cecità del sistema militare, capace di concepire luoghi di conflitto fittizi (il vero campo di battaglia non si vede mai) e di mettere degli incolpevoli gli uni contro gli altri.

Il protagonista Bozz (Colin Farrell, fratello di Kevin Spacey in Un perfetto criminale) si discosta dai persino assonanti commilitoni (Paxton, Wilson, Johnson) non solo per il nome fastidiosamente “ronzante”, ma anche per la sua aggressività all’inverso; è un personaggio (smagliante all’interno della sceneggiatura, scritta dal vero reduce Klavan) assolutamente inedito nella filmografia sul Vietnam, che non teme le punizioni e i battibecchi con i superiori, sicuro delle proprie motivazioni e di riuscire ad assestare qualche vibrante colpo alle coscienze assenti.

Max Marmotta