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Recensione

Secondo lavoro diretto in dieci anni da Kim Rossi Stuart, che si (ri)avvale della collaborazione, in sede di sceneggiatura, di Federico Starnone e ne approfitta per esplorare, nei meandri della finzione, alcuni lati del suo carattere.

Infatti il protagonista, da lui stesso incarnato (sebbene intendesse affidare il ruolo a qualcun altro), fa l’attore, teme di buttarsi in un progetto molto personale, litiga con la madre (la ritrovata Lassander) e non sa relazionarsi con il gentil sesso, a cui appioppa difetti quasi inesistenti per giustificare la sua inquietudine con lo psicologo che pazientemente lo segue (Scarpa, prediletto dai registi/interpreti nostrani) e con se stesso.

Lascia (o meglio, si fa lasciare) dall’esasperata fidanzata storica (Trinca), intreccia un rapporto fragilissimo con un’affettuosa amica (Capotondi) e infine “sbatte” su una giovane e terragna cameriera (la verace Diana) che lo tiene sulle spine e lo scuote (e un po’ lo sblocca) senza scomporsi mai.

Del precedente e più aspro Anche libero va bene Rossi Stuart conserva il cognome del suo personaggio, Benetti (anzi, in quel film suo figlio si chiamava proprio Tommaso…).

A qualcuno parrà un trattatello psicanalitico da strapazzo; non è esattamente così: c’è una certa cura nella rappresentazione, fra sogni, vermi, molteplici bambini interiori e acqua “rigeneratrice”.

La donna che nuota di spalle è – significativamente – Ilaria Spada, vera compagna di Kim.

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Max Marmotta