Recensione

In tutta la sua filmografia da regista, Salemme ha giocato, finanche nei titoli, su risvolti patologici: il cuore, gli occhi, le gambe, la memoria, la mania di popolarità (Ho visto le stelle! esprime, appunto, dolore) sono stati finora protagonisti indiretti.

Quest’ultimo lavoro (che cita indirettamente il precedente nel finale), tratto da una pièce da lui scritta prima della caduta del muro, parte con il piede sbagliato: una farsa apparentemente semi-improvvisata (limite delle ultime pellicole), in cui il protagonista Felice (lo stesso autore) si moltiplica in una serie di personaggi (tanto per ribadire, tutti con qualche problema fisico) che perseguitano il povero funzionario di stato Giuseppe (l’inseparabile Casagrande), già alla prese con martellanti discussioni familiari a causa di alcune misteriose buste piene di euro che gli pervengono mensilmente per posta.

Poi, la svolta che cambia la musica: un flashback ci mostra le “origini” di Felice, il suo ideale mortificato dai fatti storici, il pulsante “riflesso condizionato”, la sua pretesa invalidità, addirittura i propositi criminali.

Materiale affascinante, non sempre trattato opportunamente dal cinema e perciò apprezzabile a prescindere, quantomeno per lo slancio.

Se aggiungiamo che la recitazione è di buon livello, lo squilibrio tra prima e seconda parte spiace ulteriormente.

Max Marmotta