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Recensione

Sorrentino, vincitore di Oscar, era atteso al varco. Le atmosfere promesse dal trailer richiamano La grande bellezza, la produzione è internazionale e si recita in inglese, come per This Must Be the Place, lavoro ancora precedente del regista napoletano, riuscito peraltro a tenere il più stretto riserbo sui contenuti del suo nuovo lungometraggio.

Ebbene, una volta scelta l’ambientazione giusta – un lussuoso hotel svizzero – e azzeccati gli attori principali (insuperabili Caine e Keitel), sarebbe stato impossibile sbagliare nel narrare questa storia artistico-crepuscolare piena di sottigliezze (non solo visive) che invita a cogliere ogni stagione della vita, grazie fra l’altro a una pluralità di personaggi opportunamente tratteggiati (malgrado Paul Dano nella parte di un giovane attore di successo gigioneggi un po’).

E infatti l’autore de L’uomo in più e Il divo fa ulteriormente centro. Non già per l’amarezza intrinseca ai dialoghi tra il compositore a riposo e il regista in attività che prepara febbrilmente, con “manodopera” fresca, lo script del suo film-testamento (i figli dei due, poi, sono malamente coniugati), quanto per la capacità di iniettarvi complicità, sotterfugi (l’affetto sta pure dietro alle bugie), osservazioni salaci, ricordi imperfetti.

E dettagli quali la carta di caramella/diapason o il videoclip-horror hanno portata non inferiore a quella di pregnanti scene oniriche (l’angosciosa alluvione di Piazza San Marco o la compresenza ossessiva su un prato dei caratteri femminili creati nell’arco di una carriera).

Max Marmotta