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Recensione

All’epoca del primo Toy Story (1995), i puristi del cartoon classico (compreso chi scrive) accolsero con sospetto la nuova tecnica digitale che senza dubbio accorciava i tempi di lavorazione mettendo in risalto i dettagli, ma che, inevitabilmente, non costituiva solo un riuscito esperimento, bensì l’inizio di un esautoramento, non del tutto legittimo, degli elaborati e magici prodotti “artigianali”.

Poi, passato il consolidante A Bug’s Life, a quattro anni di distanza arrivò il secondo capitolo; ai personaggi e al loro universo di gioco inteso come fase irrinunciabile della vita ci eravamo già affezionati, e la presenza di almeno una sequenza memorabile (l’attraversamento della strada del gruppo di balocchi) fece accantonare i preconcetti.

Oggi, dopo circa due lustri (in cui si è pure riaffermata la tradizione de La principessa e il ranocchio) e qualche autentico capolavoro Pixar, piccolo (Gli Incredibili, Up) o grande (Ratatouille, WALL·E), la terza avventura del cowboy di pezza Woody (doppiato in originale da Tom Hanks e in italiano da Fabrizio Frizzi), dell’eroe spaziale plastificato Buzz Lightyear (che si avvale delle voci di Tim Allen e Massimo Dapporto) e dei loro disparati compagni, destinati alla soffitta del loro proprietario Andy, ormai in partenza per il college, e finiti per equivoco in un asilo di discoli in cui conosceranno vari “colleghi” giocattoli (a loro distinguere i buoni dai cattivi), riconcilia ed entusiasma, sia per l’indiscutibile qualità del plot (che affronta amicizia, egoismo, crescita e molto altro), sia per la corretta miscellanea di efficaci gag e momenti più seri.

E a prescindere dal 3D, che giustamente rimane soltanto un’opzione per lo spettatore. Non bastasse, in apertura c’è lo strepitoso corto Quando il giorno incontra la notte, che prenota il prossimo Oscar di categoria.

Max Marmotta